da Augusta (Georgia – Usa)
Ci sono cose alle quali fai fatica ad abituarti. L’esperienza del Masters, nonostante la ripeti da anni, è una di queste.
Qui all’Augusta National, nel tempio più inaccessibile del golf mondiale, la tecnologia ha raggiunto livelli estremi, ma agisce sottotraccia, esiste senza invadere.
A dominare è la tradizione: sul tee della 1 non ci sono microfoni, ma solo la voce nuda dello starter. Fortunato chi gli è vicino.
Al Masters ogni colpo è schedato, annotato, contabilizzato, ma – per intenderci – i leaderboard disseminati sul campo sono ancora quelli di un tempo, bianchi, con il punteggio sotto par in rosso e gli altri in verde.
Nessuna modernizzazione. E a parte quelli generali, sulle singole buche ci sono solo i risultati del team che le sta giocando. Impossibile sapere qualcosa di più sulla classifica.
I telefonini? Vietatissimi, pena l’immediata espulsione dal campo ad opera di un efficientissimo e discreto servizio di sorveglianza. Niente contatti con l’esterno: se proprio devi chiamare qualcuno, ci sono delle apposite aree con telefoni pubblici.
Le cabine scomparse un po’ ovunque nel mondo, qui resistono ancora. E funzionano pure.
Zero telefonini, dunque – vietati sempre -, ma libero uso delle macchine fotografiche, ammesse però solo nei giri di prova. Con un’avvertenza: niente pubblicazioni, niente condivisione sui social, niente commercializzazione. Le foto le hai fatte, ma le conservi nel tuo album privato. Per chi sgarra e viene scoperto, ritiro del badge per sempre.
La lista dei divieti e delle regole da rispettare al Masters è lunga e articolata. Niente striscioni, niente bandiere, niente cartelli (il “ciao mamma”; a favore delle telecamere, te lo scordi).
Puoi portare uno zaino, ma anche quello deve rientrare nelle misure consentite. I cappellini ovviamente sono ammessi, ma è consigliabile non indossarli al contrario, con la visiera sul retro.
Vietato urlare e perfino correre: se vuoi raggiungere un fortunato punto di osservazione o imboccare un punto di attraversamento che sta per chiudere, meglio farlo con calma. Se incrementi eccessivamente la frequenza dei passi, vieni gentilmente fermato con l’invito a rallentare.
Per gli ostinati – va da sé – c’è l’accompagnamento all’uscita senza possibilità di rientro.
Alla luce di tutto quanto raccontato, può sembrare impossibile la vita dello spettatore del Masters. E invece non è così.
Basta varcare i cancelli dell’Augusta National per rendersene conto. Tutto è perfetto, funziona ogni cosa, niente è lasciato al caso. E la gente la vive come momento unico che non dimenticherà più.
Chi ha un badge per il Masters non è uno spettatore qualunque: è un “patron”, gode di privilegi e diritti e rispetta le regole perché le stesse, in fondo, lo tutelano. Più che accettarle, in buona sostanza le condivide.
Per dire, nessuno può stare sul campo prima che vengano aperti i cancelli e i pro-shop (due mega store, più almeno una decina di chioschi disseminati sul percorso) aprono alle 7 solo per i patron.
La stampa? In coda alla coda: dalle 8 in poi. E se provate a chiedere quando chiudono, la risposta è: mezz’ora dopo l’ultimo putt dell’ultimo giocatore in campo.
Sorprendente? Fossimo altrove sì, qui assolutamente no.
Il Masters non è solo lo spettacolo offerto da chi gioca per vincere la giacca verde, ma anche quello di chi ha la fortuna di assistervi. Un’esperienza che tutti meriterebbero di vivere almeno una volta nella vita.