Due uomini, due epoche, una sola parola: leggenda. Nel giorno in cui Rory McIlroy ha conquistato il suo primo Masters, completando il grand slam e prendendosi un posto tra i giganti del golf, anche un’icona del passato verrà ricordata per una nuova, straordinaria pagina della sua storia: Gary Player, classe 1935, ha chiuso a -1 il Tre Contest che precede l’Invitational. Un’impresa non semplice, a poco meno di 90 anni.
In un percorso iconico, intriso di memoria e destino, si sono intrecciati il compimento di una lunga rincorsa e l’impresa di chi quel percorso l’aveva tracciato: McIlroy, con un giro finale al cardiopalma, ha coronato il sogno. E il Cavaliere nero ha compiuto l’ennesima magia: sì, nonostante l’età, ha incantato con colpi solidi, uno swing ancora elegante e, soprattutto, con il sorriso di chi ha imparato a giocare per amore del gioco. E non solo per vincere.
Ma ha vinto, tantissimo, nella sua straordinaria carriera: nove major conquistati (3 Master, altrettanti The Open Championship, 2 successi al Pga Championship e uno al US Open). Nel complesso sono 160 i suoi titoli internazionali che hanno fatto la storia del golf. Conserva il record di hole in one, quattro, nel Par 3 contest di Augusta. Lui, uno dei “Big Three” insieme a Jack Nicklaus e Arnold Palmer, ha attraversato epoche e generazioni con un’invidiabile dedizione al gioco e alla forma fisica. Nonostante l’età avanzata, ha mostrato ancora una volta perché è stato e rimane un esempio di longevità sportiva.
«Non ho mai smesso di allenarmi, non ho mai smesso di credere che il golf possa insegnare la disciplina della mente e del corpo». Sono le sue parole a fine del giro, quasi commosso dall’ovazione del pubblico e degli altri giocatori, molti dei quali non erano ancora nati quando lui già vinceva i Masters. Chiudere sotto par a 89 anni, su un campo che sa creare insidie anche a professionisti nel pieno della forma, è qualcosa che va oltre lo sport e accarezza il mito. Attinge alla fiaba.