giovedì 1 Maggio 2025
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HomeRubricheLe note di Marco MascardiPer fortuna Archimede non giocava a Golf…

Per fortuna Archimede non giocava a Golf…

Una storia gustosa e semiseria intorno alla “Diciannovesima buca”, dove il golfista spesso si trasforma in pescatore

 

Come tutti sanno, a parte gli astemi, il bar d’un Circolo di Golf è chiamato anche ‘Diciannovesima buca’. È su questa ‘buca’ inesistente che, finite le prime diciotto, un certo numero di giocatori di solito s’intrattiene. Purtroppo s’intrattiene, ma non si trattiene dal raccontare episodi d’una propria partita, giocando troppo spesso con la verità. Si beve, ma si bara. I golfisti parlano spesso come i pescatori. I pescatori hanno tendenza ad allargare le braccia quando devono mostrare quanto fosse grande un pesce pescato a suo tempo (lontano). I golfisti sono diversi: avvicinano, senza però farli toccare fra loro, l’indice e il pollice della loro mano destra affinché si veda quanto fosse vicina la buca alla palla d’un putt decisivo ma ovviamente mancato. Chi ascolta storie di questo genere deve usare molta cautela. Non è educato scoppiare in una risata direttamente in faccia a chi parla.

Archimede, il grande Archimede, per nostra fortuna, non giocava a Golf. In compenso, parlava molto. Archimede, spiegando come funzionasse la leva, avrebbe detto la famosa frase: “Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo”. Ecco un caso in cui la cautela è di rigore. Non è mai il caso di tollerare frasi eccessive. Anche perché non credibili, queste frasi ‘storiche’ sono spesso apocrife falsità. A dire il vero, la faccenda di questa potentissima leva non mi aveva convinto mai.

Archimede era un matematico e un fisico. Una delle massime menti dell’umanità. Aveva scoperto il principio idrostatico dei vasi comunicanti, s’era applicato a spiegare perché stiamo a galla spostando una certa quantità d’acqua, che provoca una spinta verso l’alto eguale al peso del fluido spostato. Chi non ci crede, annega. Aveva misurato il diametro apparente del Sole e in guerra aveva suggerito alla patria, Siracusa, il modo di arrostire le navi romane con i suoi raggi, raccolti e convogliati allo scopo. Purtroppo, fosse piovuto, non sarebbe successo nulla. E quel giorno, infatti, piovve.

IL RIGORE DELLO SCIENZIATO. La frase riferita alla leva ha ben poco in comune con il rigore di Archimede, studioso capace di scrivere testi ancora validi oggi in matematica, fisica e geometria. Ho sempre amato molto Archimede per la sua immaginazione. La dote più grande di un uomo.

Qualcosa mi aveva subito colpito, anzi irritato. Io sono uno storico del Golf, si dice e si ammette. In realtà, mi rende attendibile anche la passione, che curo da una vita, per la Storia in genere, specie quella antichissima, con un attento studio delle fonti. Per credere che Archimede parlasse (iperbolico e pasticcione) come un presentatore della tivù, dovremmo dar fede a Pappo, geometra alessandrino che scrisse molti libri di matematica. Costui riferì, nel suo testo latino, la frase in greco di Archimede, rimaneggiata nel tempo da ulteriori dotti traduttori. Un grosso affare di passaparola poco attendibile… Ma in quel testo io cercavo la prova decisiva.

COME SI PUO’ SOLLEVARE IL MONDO? Infatti, a proposito di Archimede, della leva e delle varie possibilità d’impiego, alla fine ho trovato in alcuni volumi tedeschi, rari perché dovuti ad autori non proprio nazionalpopolari, la notizia del calcolo affrontato dall’astronomo scozzese James Ferguson (1710-1776). Ferguson, forte della sua scienza e, se vogliamo, del suo umorismo tutto britannico, lavorò a lungo per dimostrare le difficoltà pratiche che si sarebbero incontrate nel tentativo di sollevare il mondo. Il calcolo figura per intero nel volume Astronomy explained, un testo di Ferguson pubblicato a Londra ancora una volta nel 1803, nell’ottavo capitolo, a pagina 83.

Ferguson è una delle menti più brillanti della grande cultura britannica. Nato contadino, si era dimostrato subito un ragazzotto geniale: seguendo il movimento della Luna e delle stelle, tutto solo perché faceva allora il guardiano di un gregge e le limpide notti d’inverno in Scozia non conoscevano ancora lo smog, gli era venuta l’idea di rappresentare con un modello meccanico il movimento degli astri. La cosa era interessante, al punto che queste macchine, o almeno alcune, sono degli utili strumenti didattici ancora in uso. Studiò con ovvia intensità astronomia e matematica, coi suoi libri e i suoi modelli alla fine ci campò niente male e fu persino applaudito conferenziere. Oggi c’è la televisione, ma nel Settecento la gente accorreva qui e là per ascoltarlo (a pagamento). Il canone non l’ha inventato la Rai.

IL PUNTO A 15 MILA CHILOMETRI DALLA TERRA. Ferguson fece dunque i suoi calcoli. Dimostrò che, per sollevare il mondo, Archimede, ammesso che pesasse una novantina di chili come me, avrebbe dovuto sistemare il suo punto d’appoggio a tremila leghe dal centro della Terra (15mila chilometri circa). Già un problemino. In compenso, l’altro braccio di leva avrebbe dovuto essere lungo 12 quadrilioni di miglia (il quadrilione è un milione di trilioni). E questa parte della leva avrebbe dovuto essere messa in azione alla velocità d’una palla di cannone per muovere la Terra di un solo pollice (mm. 25,4) in 29 milioni di milioni di anni. Fine del calcolo: avete capito? Tutto questo per dire che Archimede forse si era un po’ troppo allargato sulle possibilità della sua leva. La leva era sì una ‘macchina semplice’, ma Archimede la faceva troppo semplice, a conti fatti.

Alla ‘Diciannovesima buca’ non sempre si racconta la verità. Vale a dire: siate saggiamente cauti nel dare credito a tutto ciò che ascoltate, per quanto sia considerata attendibile la fonte. Compresa forse questa stessa fonte che vi parla. Metteteci del vostro, in campo, al bar e nella vita. Non raggiungerete sempre la Verità, forse, ma eviterete di credere ciecamente che possa bastarvi un minimo punto d’appoggio per sollevare il mondo.

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