Ho perduto il mio compagno di Gioco, il migliore di quanti ne abbia mai avuti. Il preferito di tutta una vita di Golf. Abbiamo giocato insieme per anni e anni. Un po’ ovunque, nel mondo. In Europa, in America, in Africa. Ma sempre per passare il tempo un po’ meglio, senza fare del turismo, che ci avrebbe obbligati a sopportare tanta gente intorno di cui non si sapeva nulla, intenta soltanto a fotografare. Noi, insieme, preferivamo goderci la vita con le cose che ci erano davvero care, che ci piacevano.
Devo ammettere, e lo faccio con una certa invidia, come questo compagno avesse davvero un grandissimo stile. A tavola, ci stava come un Principe. Sentiva i tappi dello champagne appoggiandoli appena al naso. Una volta rimandò indietro una bottiglia con un leggero sorriso di complicità. Il sommelier sgranò tanto d’occhi: “Ma è vero! Complimenti, mi era sfuggito”.
Parlava con maîtres e sommeliers come fossero dei notai, da persona rispettosa delle capacità altrui e quindi persona altrettanto riamata. Difendeva le proprie golosità, ma detestava i capricciosi, i banali, gli improvvisati. In particolare, trovava insopportabili i nuovi ricchi. Mi diceva: “Noi siamo dei vecchi poveri. Che soltanto adesso stanno un po’ meglio. Ma non è il caso di farlo sapere in giro”. Aveva un brillante senso della Storia, come tutti quelli che avevano studiato, bene, in una scuola francese. Trovava addirittura miserabili quelli che avevano cominciato a giocare a Golf senza conoscere gli antefatti. Da Tom Morris in giù. Gli stessi che sul fairway si vestivano in modo inadeguato. Si coprivano alla meglio, o alla peggio. Mi faceva osservare come non si potesse notare, in realtà, alcuna differenza. Erano brutti da vedere. E basta.
Nonostante il tempo, che passa, mai arrestabile, avesse privato questo mio compagno di Gioco delle agilità più lontane (più lontane dal tempo che in quel momento stavamo via via vivendo), era pur sempre evidente lo stile di partenza, quello di tanti anni prima. Non s’era mai arreso. Non aveva mai ceduto all’alibi dell’età. Si irritava quando sentiva qualcuno così poco brillante da dire: “Che cosa vuoi più fare, alla nostra età?”.
Affrontava ogni drive come la sfida più eccitante. S’apprestava al colpo con il sicuro sorriso del gentiluomo, anzi, dello sfidante, che sa di voler colpire proprio in piena faccia, col guanto, l’avversario che forse lo ferirà… ma non è mai detto.
Non aveva mai perduto il gusto della sfida, questo mio compagno di Gioco. Il Golf, si dice, è molto simile alla vita, con le sue trappole, le difficoltà improvvise, le soluzioni ardite, le penalità, la riuscita del colpo, talvolta persino la vittoria.
Era un giocatore serio, di qualità. Non amava perdere. Pensava che fosse inutile dedicarsi a un Gioco senza desiderare di fare meglio degli altri competitori. Talvolta non gli riusciva. Ma diceva: “Certo, ho fatto il possibile. Questa volta non è bastato. Ho tentato di prevedere ogni possibilità. Semplicemente, non ho pensato a tutto. Troppa gente punta, e solo per ignoranza, sul ‘37 blu’ senza nemmeno tener conto che i numeri sono soltanto 36, o rossi o neri, a parte lo zero che, non per niente, ha il colore del green. Questa gente poi si stupisce di non vincere mai una lira nemmeno per caso. Giocano male a Golf solo perché non ci pensano un attimo sopra. O prima. Come alla roulette”.
Era una grande persona, il mio compagno preferito. Modesta e saggia. Una volta, in Messico, un maestro di Golf che era lì con un gruppetto di allievi, in campo pratica, bloccò la sua piccola folla e pregò il mio compagno preferito di ripetere il suo swing perché gli altri lo potessero guardare. Fu gentile, questo mio compagno. Ripeté il colpo tre volte. Il maestro era tutto felice: “Ora spero proprio che lo ricorderanno, uno swing così fluido e potente”. E il mio compagno restituì il sorriso: “Lo spero anch’io. Per loro. Quanto a me, è quasi certo che domani mi sarà già passato di mente. Il Golf è strano: ci vuole molto tempo per imparare qualcosa, ma basta davvero un niente e si è già dimenticato tutto”.
Firmò con un sorriso appena accennato, complice, il suo ultimo score. Mi fece capire con l’aria di chi, in fondo, è abbastanza contento: “Non abbiamo giocato male, nemmeno questa volta”. Era davvero il mio compagno preferito.
Ci divertiva entrambi, quello strano Gioco che è il Golf, che è poi la vita, insieme da cinquantasette anni e otto mesi. Era Enrica. Mia moglie. Ora non c’è più. Se l’è portata via, nel vento, il suo ultimo swing.